Sociatria per una civiltà creativa

Dal Guggenheim di New York alla Documenta di Kassel. Insieme a un neologismo, quel “sociatria” che leggete nel titolo. A proporlo è l’artista messicano Pedro Reyes, che col suo "Sanatorium" si propone di curare la società. Non senza un pizzico di ironia.

La ricerca intellettuale nasce “dalla sofferenza dell’umanità posta di fronte all’essere concreto, dalla necessità di determinare fini e mezzi, dalla fede nell’affrontare, accettare e superare le situazioni” imprevedibili che presenta la vita quotidiana. Si tratta di una formazione riflessa attraverso la quale l’uomo predispone se stesso, con rigore, al sapere. A un sapere – morale, artistico, economico, educativo, giuridico, religioso – che, se da una parte sprona l’individuo alla risoluzione del contrasto di turno, dall’altra schiude un programma autoistruttivo teso ad avvicinare la persona alla virtù. Ad accogliere la verità delle cose nella sua interezza (nella sua flagranza) e a costruire il valore nobile della libertà. Per Socrate è importante educare l’umanità a una saggezza (phronesis) concreta in atto, a un processo di guarigione dell’autocoscienza, a un pensiero critico che sia in grado di contrastare gli abusi politici, che sia abile a decifrare una “situazione di ambigua superficialità e di adeguamento al luogo comune che forse è”, lo evidenzia Gillo Dorfles, “una delle costanti degli ultimi tempi”.
Sanatorium (2011-2012), un recente progetto di Pedro Reyes, fa propria la lezione socratica per ripristinare e correggere gli spazi della morale. Di un territorio che, a detta di Socrate, non è una realtà, ma un dover essere della realtà, sia personale che sociale. Per liberare l’uomo dall’impasse della disinformazione quotidiana e dagli appressamenti degli annunci mediatici, Reyes propone, difatti, un ambiente didattico, un habitat attraverso il quale sottoporre lo spettatore a piccoli interventi partecipativi, a un disegno liberatorio nei confronti di quelle che Paul Virilio definisce essere, nella sua Estetica della sparizione (1989), le picnolessie dell’oggi. Liberare l’individuo dalle impurità, dalle incrostazioni dei factoid quotidiani, dagli sputi e dagli spot propagandistici, vuol dire, per Pedro Reyes, costruire una impalcatura estetica attraverso la quale invitare lo spettatore a un cammino depurativo nei confronti di un processo planetario che punta a conformare l’uomo, a ridurlo, a paralizzarlo, a inserirlo in un’area sociale (condizionata dal totalitarismo mediatico) priva di valori.

Pedro Reyes, Sanatorium, 2011-2012 - Documenta, Kassel

Pedro Reyes, Sanatorium, 2011-2012 – Documenta, Kassel

Parte di un programma organizzato a Brooklyn nel Project Stillspotting NYC del Guggenheim di New York – e riproposto a Kassel per dOCUMENTA (13) -, Sanatorium è, allora, un luogo temporaneo dell’arte utile a fuggire dal logorio della vita urbana, a edificare un nuovo senso civico, a concepire una riflessione pedagogica e, più in generale, una coscienza culturale che si pone come una via di scampo dalle afasie che sopprimono la capacità di sviluppare i necessari anticorpi, le resistenze psicofisiche alle fatuità della moda e alle sterilità della vita contemporanea. Esercizi di riscaldamento, tecniche di risoluzione dei conflitti personali, costruzione della fiducia, giochi di coaching aziendale, yoga, ipnosi, terapie singolari, di coppia o di gruppo. Attingendo dalla psicologia della Gestalt, il Sanatorium di Reyes, tra realtà e parodia, propone così un angolo di riposo. Un brano di ricreazione dalle intemperie della megalopoli. Ma anche una nuova visione del mondo in cui ritrovare il proprio corpo, le proprie azioni e il muscolo atrofizzato del pensiero.
Luogo di riposo e di sosta dalle tensioni della vita quotidiana, Sanatorium propone camere della memoria nelle quali lo spettatore è invitato a interagire con oggetti e cose animate (piante, alberi ecc.), ambienti collettivi dedicati a gruppi di individui guidati da un terapeuta in camice bianco, performance utili ad alleviare l’aggressività (è il caso del Vaccine Agains Violence che l’artista rileva dal filosofo colombiano Antanas Mockus). The Museum of Hypotetical Lifetimes è, ad esempio, un’azione – una “attività”, suggerisce Reyes – “centrata sul modello in scala di un museo ipotetico” della vita. Un museo attraverso il quale lo spettatore può “vedere tutta la sua vita come una mostra”, come una grande exhibition personale divisa in quattro ambienti (genealogia, lavoro, educazione e amore) che pone l’uomo di fronte a un ampio panorama visivo: sugli scaffali c’è una vasta scelta di oggetti, una selezione (il più completa possibile) di cose che incontriamo nel mondo e che nel tempo alimentano la nostra fantasia. Goodoo, Compatibility test for Couples, Ex-voto, Cityleaks, Philosophical Casino e Mudras sono, d’altro canto, ulteriori spazi d’azione di un processo  di urban therapies – di una terapia che Reyes definisce “sociatria” (“l’arte o la scienza di curare la società”) – attraverso il quale produrre uno sfogo di verità, offrire cibo per la mente, rieducare o, quantomeno, mostrare una via di scampo, un intervallo necessario a scongiurare il crescente e pericoloso collasso dei cervelli, a ritrovare un rispetto fisiologico, un nuovo contatto con il proprio corpo e con il corpo, più ampio, dell’umanità.

Antonello Tolve

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16

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Antonello Tolve

Antonello Tolve

Antonello Tolve (Melfi, 1977) è titolare di Pedagogia e Didattica dell’Arte all’Accademia Albertina di Torino. Ph.D in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico artistica (Università di Salerno), è stato visiting professor in diverse università come la Mimar Sinan…

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