Il Plessi Museum secondo Fabrizio Plessi

In occasione dell’apertura del museo dedicato all’opera di Plessi sull’A22, abbiamo incontrato l’artista. E gli abbiamo posto qualche domanda sul passato e sul presente delle arti tecnologiche. Le risposte? Pessimismo sul presente ma speranza per il futuro.

Vi abbiamo già raccontato del Plessi Museum, nato da una felice intuizione di Autostrade del Brennero, dell’ingegner Carlo Costa e del video artista Fabrizio Plessi (Reggio Emilia, 1940), che hanno progettato il primo museo situato su un’autostrada, un unicum nel panorama di servizio di infrastruttura autostradale. Sul Passo del Brennero un’enorme cupola di vetro ha preso il posto dell’antica dogana che separava l’Italia dall’Austria, sottolineando la volontà di mettere fine alle rotture e alle frontiere, definendo anche emotivamente quello che già il trattato di Schengen nel 1995 aveva sancito politicamente. Una volta entrati ci ruba l’attenzione la maestosa opera creata per rappresentare dell’Euregio, progetto comune delle regioni del Tirolo storico, durante l’Expò di Hannover del 2000, che esprime i tre stadi dell’acqua nelle tre province, ghiacciaio a Innsbruck, torrente a Bolzano e lago a Trento. Attorno, diversi schermi ritraggono lo sgorgare dell’acqua come fonte di vita che fa crescere dei rami di vero legno proiettati verticalmente.
All’interno del museo tutto è pensato nei minimi dettagli dall’artista, che ha curato anche l’allestimento del bar, dei banconi che ospitano i disegni preparatori del museo, della biblioteca fatta di tronchi, simbolo ancestrale del libro, che si contrappone a cento bicchieri artigianali di vetro di Murano, che rimandano sia alla struttura del museo, sia alla tradizione vetraria di Venezia, città  molto cara all’artista.
Durante l’inaugurazione abbiamo incontrato Fabrizio Plessi e gli abbiamo fatto qualche domanda sul museo, sulla sua visione dell’arte e sui suoi progetti futuri.

Plessi Museum

Plessi Museum

Com’è nata l’idea di progettare questo museo e cosa rappresenta per te questo luogo?
Ho partecipato e vinto un normale concorso per l’Expò di Hannover. Hannover è un posto fuori da ogni schema, praticamente si trattava di uno stand di un grande Paese, l’Euregio,  collocato all’interno di un’esposizione universale, in un luogo asettico, lontano e isolato. Tutte le opere e atmosfere create per questo preciso museo sono state generate pensando specificatamente al luogo che le ospitava, creando un’opera site specific. I due elementi cardine sono gli alberi e l’acqua. Nel mio lavoro che ci sono sempre il fuoco, la lava, i fulmini e gli altri elementi, in quest’occasione li ho eliminati proprio per dare una concezione geografica a questo museo. Questo museo vive da sempre di acqua e di alberi e non ci sarà nient’altro che acqua e alberi. E infatti ora che guardo fuori, vedo una continuità con il paesaggio.

Quali sono le opere create ad hoc per il museo?
Le opere nuove sono tutte tranne la scultura centrale, acquisita dall’autostrada del Brennero tredici anni fa. Quindi tutte le videoinstallazioni che si vedono alle pareti, il grande tronco di legno sospeso in una nicchia che diventa opera sonora grazie allo scroscio dell’acqua, il progetto della libreria non di libri (fatta di quello che esiste prima del libro stesso, la sua essenza, il legno) che appoggia su cento bicchieri fatti a mano in vetro.

La tua ricerca ci riporta sempre gli elementi dell’acqua e del video…
Penso che il video formi con l’acqua un binomio perfetto: l’acqua è un elemento cangiante, antico, ancestrale e primordiale, il video invece è un elemento della contemporaneità: entrambi sono fluidi, instabili. Entrambi emanano un bagliore azzurro.

Plessi Museum

Plessi Museum

La tua è una lunghissima carriera che ha visto la partecipazione a undici Biennali di Venezia, moltissime mostre in musei prestigiosi e riconoscimenti importanti. Nel tuo percorso com’è cambiata la concezione dei due elementi di cui abbiamo parlato prima, l’acqua e l’arte digitale?
L’acqua – e così la natura – non cambia, cambia solo lo sguardo con cui essa viene guardata e cambiano molto rapidamente le tecnologie con cui possiamo investigarla.
Io sono molto critico rispetto alla produzione odierna nel campo delle tecnologie video, credo che gli anni fantastici siano stati gli anni Settanta, nei quali si son formati artisti come Nam June Paik, Bill Viola e come me. Era davvero un’indagine sul mezzo televisivo. Il giovane d’oggi ha facile accesso a tutte le tecnologie e ciò è inversamente proporzionale alla ricerca, oggi più la tecnologia decolla meno c’è creatività, per cui ci troviamo un grande consumo di tecnologia ma una scarsissima capacità creativa. Per questo io non sono molto felice degli sviluppi attuali dell’arte tecnologica. Io ho insegnato per dieci anni al Kunsthochschule fur Media di Colonia e ho dato le dimissioni proprio perché non ero assolutamente d’accordo su ciò che si faceva. Io credo che il 90% di ragazzi utilizzino i mezzi che hanno a disposizione senza spirito creativo.

Qual è il tuo consiglio?
Il mio consiglio è di indagare sul mezzo, sulle possibilità straordinarie che ha la televisione. Io ho un’età per cui potrei anche riguardare il mio passato, ma non voglio farlo perché voglio sempre fare cose nuove. Invece vedo che ai ragazzi, agli studenti, ai giovani artisti interessa solo che lo schermo sia grande, indipendentemente dal contenuto. Poi se c’è dentro la sorella che mangia la minestra al rallenty, come vediamo in tante Biennali, è davvero un disastro.

Hai parlato del desiderio di istituire un premio per i giovani artisti all’interno di questo museo. Credi che potrebbe essere un’opportunità di indagine più approfondita sullo strumento e sul contenuto?
L’idea di un premio per i giovani artisti che indagano sul rapporto tecnologia, arte e natura mi interessa tantissimo. Lo potrei finanziare io e lo programmerei ogni due anni con un comitato scientifico proprio in questo luogo dove ci troviamo adesso. In questo modo farei diventare il museo un luogo vivo, dinamico. Il museo diventa un polmone di idee, di attività, un laboratorio in cui le tecnologie che ci saranno domani e che io non conosco potranno essere utilizzate dai ragazzi. La natura attorno sarà sempre la stessa per cui sarà una specie di innesto, un meccanismo di vasi comunicanti.

Plessi Museum

Plessi Museum

Un po’ come questo progetto, un innesto nella natura, l’artificiale che entra nel naturale senza stravolgerlo…
Esattamente, naturale e artificiale devono convivere in un’osmosi perfetta. Questo è quello che io definisco “umanizzazione delle tecnologie”, questi sono i termini con cui l’ho sempre considerata.

Il Plessi Museum è un museo interamente dedicato alla tua figura di artista. Vuole essere un riassunto della tua lunga attività o lo consideri un punto da cui partire?
Per me è un ex novo, un punto di partenza. Non voglio fare niente di retrospettivo, per principio sono cinque o sei anni che non faccio retrospettive. Faccio solo cose nuove, per sentirmi vivo. Non c’è cosa più noiosa che ripetere a me stesso le cose che già so. Non faccio le cose per gli altri, le faccio per me, cerco delle esperienze nuove che mi diano la vitalità, l’interesse e l’intuito di essere sempre vivo e sempre presente nel panorama artistico e culturale di oggi.

Alessandra Ghinato

www.a22.it

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