Mariko Mori: rinascita e tecnologia

I costumi e le scene per “Madama Butterfly” alla Fenice di Venezia, e la mostra alla Japan Society di New York, seconda tappa di un progetto che toccherà tutti i continenti. Con un lavoro che pare segnare una svolta nella sua produzione. Siamo volati nella Grande Mela per intervistare Mariko Mori.

Abbandonati i panni dei personaggi dei manga che ne hanno ispirato il lavoro per i primi dieci anni, Mariko Mori (Tokyo, 1967) giunge alla scoperta della natura attraverso il buddismo e la cultura degli avi in una nuova mostra personale, intitolata Rebirthing (fino al 12 gennaio), allestita presso la Japanese Society a New York e dedicata all’idea di rinascita.
Il New York Times non è stato gentile con lei, avvertendo nella mostra un eccessivo stridore tra il mezzo espressivo (la tecnologia) e il messaggio (la natura), sul quale la Mori ha avviato da dieci anni una ricerca approfondita, con esiti zen e new age. In realtà, se per lo sguardo occidentale la tecnologia e la natura sono antitetici, non del tutto così appaiono allo sguardo giapponese.
La mostra arriva dalla Royal Academy di Londra ed espone, in forma progettuale, anche il grande progetto Primal Rhythm, installazione monumentale sul mare della dell’isola di Miyako, a Okinawa, che verrà replicata nei sei continenti. In Italia, Mori è stata recentemente presente al Teatro la Fenice di Venezia, per il quale ha disegnato scene e costumi della pucciniana Madama Butterfly”. Proprio a partire da Mariko Mori, la Biennale di Venezia avvia una collaborazione con il celebre teatro, per il quale ogni due anni un artista scelto dal direttore della Biennale Arte firmerà scene, costumi ed eventualmente la regia di uno spettacolo allestito alla Fenice.

Mariko Mori, Tama I, 2011 - courtesy Scai The Bathhouse, Tokyo & Sean Kelly, New York

Mariko Mori, Tama I, 2011 – courtesy Scai The Bathhouse, Tokyo & Sean Kelly, New York

A un certo punto lei ha smesso i panni del personaggio dei manga per studiare le religioni antiche: un gran cambiamento…
All’inizio ero più concentrata sulle questioni sociali e usavo spesso la fotografia, ma verso il 1998 il mio lavoro è slittato verso il buddismo; è stato un passaggio naturale, perché lavorando sul mio corpo stavo esprimendo idee riguardanti la coscienza. Con il lavoro Dream Temple, esposto alla Fondazione Prada nel 1999, la mia ricerca assumeva media e materiali nuovi. Da allora ho usato sculture, architetture, opere digitali. Visto in superficie, il mio lavoro può essere diverso rispetto a prima, ma non è del tutto così.

È diventata buddista nel frattempo? Che rapporto intrattiene con la religione?
La mia religione è sempre stata l’arte, ma mi interessava la fede. Ho studiato il buddismo, lo shintoismo e la filosofia orientale, per capire meglio quale fosse il mio background culturale; poi ho cercato di andare oltre per cercare idee più universali e dieci anni fa iniziai questa ricerca sulle culture preistoriche, esistite prima della comparsa delle religioni.

Cosa ha trovato?
Che i nostri avi erano tutti connessi, condividevano le stesse idee e la loro relazione con la natura era basata sulla consapevolezza di essere dentro di essa: il paesaggio era la loro casa. Noi siamo ancora natura, innanzitutto, ma spesso lo dimentichiamo.

Mariko Mori, Stone Circle, Ōyu, 2004 - courtesy Scai The Bathhouse, Tokyo & Sean Kelly, New York

Mariko Mori, Stone Circle, Ōyu, 2004 – courtesy Scai The Bathhouse, Tokyo & Sean Kelly, New York

Come è connessa l’idea della rinascita, a cui la sua mostra è dedicata?
Studiare il pensiero primitivo è stato come fare un viaggio nella rinascita. Il simbolo della rinascita appare in molte culture antiche. Il sole è un simbolo forte e sono stata molto ispirata da questo concetto.

Fukushima e il riscaldamento globale: anche lei è preoccupata per come vanno le cose con la natura oggi, oppure il suo approccio è più spirituale?
Studio le culture preistoriche per trovare una lingua universale da condividere con il resto del mondo, ma anche perché vedo una mancanza di equilibrio nel rapporto tra l’uomo e la natura. I preistorici conoscevano più e meglio di noi la natura, ma ora queste conoscenze sono state azzerate e non esistono quasi più. Però restano nel nostro Dna.

Una visione pessimista ma che lascia intravedere una possibilità di redenzione…
Vedere di persona le opere rimaste di quei tempi ancestrali mi ha portato a produrre lavori che spero possano aiutare a sensibilizzare le persone circa il rispetto che noi tutti dobbiamo alla natura.

Si tratta di migliorare un rapporto che deve essere personale?
Nella società moderna distinguiamo tra natura e umanità, come se fossero cose separate. Non siamo diversi da ogni altro essere naturale. Dimenticarlo significa creare un mondo come questo.

Mariko Mori, Primal Memory, 2004 - courtesy Scai The Bathhouse, Tokyo & Sean Kelly, New York - photo Ole Hein Pedersen

Mariko Mori, Primal Memory, 2004 – courtesy Scai The Bathhouse, Tokyo & Sean Kelly, New York – photo Ole Hein Pedersen

Lei sta cercando un linguaggio universale: quanto è importante il legame con i materiali usati nelle sue opere? Da occidentale, l’alta tecnologia che lei usa mi appare in un contrasto problematico con le forme primitive rappresentate. Credo che in Giappone il rapporto con la tecnologia sia molto più naturale.
Penso che anche Michelangelo o Da Vinci, volendo fare qualcosa di molto alto, usarono le tecnologie e l’ingegneria dell’epoca. L’artista cerca di dare il massimo.

In mostra ci sono i suoi disegni, esili e difficili da catturare con la fotografia. Come ci è arrivata?
Ho iniziato a disegnare nel 1998 e questa serie di disegni risale al 2003: mi sedevo per un mese davanti all’oceano e disegnavo per capire come mi sentivo, che relazioni intrecciavo con la natura attorno a me e con l’oceano. Attraverso questi disegni realizzai che anche io sono natura.

Sono loro ad averle dato l’input per le ricerche ulteriori, quindi?
Sì, e più attraverso la vista che l’intelletto.

Perché decise di disegnare di fronte all’oceano e non in studio?
Quando mi decisi per la ricerca sulla cultura preistorica, ho pensato a Okinawa: la zona ha mantenuto rituali e cerimonie che non sono cambiati negli ultimi 3mila anni. I suoi abitanti sono ancora dentro la natura.

Kaen-doki flame-ware vase, Middle Jōmon period (3,500–2,500 BCE). Earthenware; 11 5/8 inches high, 11 5/8 inches diam.  Collection of John C. Weber

Kaen-doki flame-ware vase, Middle Jōmon period (3,500–2,500 BCE). Earthenware; 11 5/8 inches high, 11 5/8 inches diam. Collection of John C. Weber

Mi fa un esempio?
Mioko Island, dove ho lavorato, ha 500 posti sacri. È una piccola isola con 50mila abitanti e quando ho visitato alcuni di questi posti sacri, dove vedi soltanto natura e null’altro, ho capito quanto fossero preistorici. Volevo sentire le stesse cose che provarono i miei avi e che la gente di Okinawa prova ancora oggi. Per me è importante capire cosa davvero sia la natura. Per entrare in questo rapporto ho usato i disegni come un processo di pensiero.

Sono astratti ma anche cosmogonici, vi si possono scorgere pianeti e sistemi solari: sta cercando di mettere insieme il macro e il micro cosmo?
Forse sì, all’inizio sono stata ispirata dalle particelle elementari come i neutrini, ma anche dall’universo parallelo e dall’universo prima del Big Bang. Sono tutti connessi, non ci sono salti e noi siamo parte di tutto ciò. Tutto è connesso.

Come effettua le sue ricerche?
Leggo libri, ascolto le sacerdotesse di Mioko Island e discuto con fisici e scienziati.

Lei proviene da studi di moda: continua ancora a disegnare i costumi che indossa nelle sue opere?
Ho disegnato i costumi e le scene per Madama Butterfly alla Fenice di Venezia. Disegno ancora i miei costumi per le performance, è qualcosa che mi diverte fare, è come giocare con qualcosa che ti piace.

Nicola Davide Angerame

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Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame è filosofo, giornalista, curatore d'arte, critico della contemporaneità e organizzatore culturale. Dopo la Laurea in Filosofia Teoretica all'Università di Torino, sotto la guida di Gianni Vattimo con una tesi sul pensiero di Jean-Luc Nancy, inizia la collaborazione…

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