La dignità del (video) giocare. Intervista con Paolo Branca

Quale rapporto di ricerca può intercorrere fra l'arte contemporanea e il videogioco? Dopo la prima edizione del 2012, torna “Playing The Game”, l'evento milanese dedicato al dialogo tra prodotti videoludici indipendenti e le ricerche artistiche più recenti. Abbiamo incontrato Paolo Branca, l'ideatore e organizzatore della rassegna.

Quando e come è nata l’idea di creare un evento come Playing The Game?
L’idea ha avuto una gestazione particolarmente lunga. Mi piaceva il concetto di ibridare contesti che non avevano familiarità l’uno con l’altro, come l’arte e il videogioco, ma ritenevo che bisognasse farlo in modo rigoroso, senza snaturare le caratteristiche proprie di due realtà così distanti.
Nei riguardi del videogioco nutrivo sentimenti contrastanti: era un mezzo che continuava ad affascinarmi, ma se da un lato non ero soddisfatto di quello che era diventato, dall’altro non mi bastava più ciò che era stato. Quindi l’idea rimase nel cassetto per tre anni, segno che non ne ero totalmente infatuato o che, forse, i tempi non erano ancora del tutto maturi.

E poi?
Poi ho cominciato a percepire un’apertura maggiore verso certi temi, accanto a una produzione oramai fiorente di videogiochi indipendenti e quindi diversi, stimolanti. Queste due circostanze mi hanno incoraggiato nel proporre la prima edizione di Playing The Game.

Credi, dunque, che negli ultimi anni ci sia stata una maggiore convergenza di ricerche tra il mondo videoludico e quello artistico?
Da qualche anno a questa parte è riscontrabile un approccio comune al mezzo da parte di game designer indipendenti ed artisti. Mi riferisco all’attitudine sovversiva e disincantata che, ad esempio, ritrovo nelle parole di Richard Hofmeier, creatore di Cart Life: “Volevo creare giochi che non sembrassero affatto videogiochi. Dovevano avere cuore ed essere artistici, personali, e non dovevi uccidere nessuno né raccogliere punti o competere per il punteggio”.
A dirla tutta, il mondo dei videogiochi e quello dell’arte convergono e divergono in continuazione. Molti artisti contemporanei producono arte attraverso il videogioco, e questo mi sembra un filone significativo, che prende il nome di Game Art. Del resto, i videogiochi sono presenti nel nostro paesaggio mediale da alcune decadi, perché ignorarli?

Will Love Tear Us Apart

Will Love Tear Us Apart

Come definiresti l’esperienza della prima edizione?
Estremamente stimolante. Per sua natura questo tipo di eventi catalizzano l’attenzione di un pubblico molto variegato, unito dalla comune propensione verso proposte culturali innovative. Durante Playing The Game si respirava curiosità ed entusiasmo, per molti è stata un’opportunità unica d’interazione e confronto. Alla manifestazione, oltre che studenti, designer, artisti, giornalisti e docenti universitari, hanno partecipato imprenditori e cacciatori di teste alla ricerca di giovani talenti da ingaggiare.

Credi che il termine ‘videogioco’ non aiuti a osservarlo come fenomeno maturo? Le parole sono importanti…
Credo di sì, lo stesso termine ‘gioco’ porta con sé accezioni negative. Ma soprattutto l’idea più largamente diffusa di videogioco non corrisponde più alla ricchezza e alla varietà delle proposte che vanno sotto questo nome: dietro al termine ‘videogioco’ c’è un mondo da scoprire in cui ogni giorno viene prodotto qualcosa di nuovo.

Cosa c’è in programma per la seconda edizione?
Il tema della seconda edizione è Videogiochi indipendenti in dialogo con arti e culture. Protagonisti dell’evento saranno tre progetti di videogioco indipendente: Bosch Art Game, Brush Chronicles e Will Love Tear Us Apart.
Bosch Art Game è il nome di un concorso internazionale indetto dalla Fondazione Jheronimus Bosch 500 per la realizzazione di videogiochi ispirati all’immaginario del pittore olandese. Durante i due giorni della manifestazione, il pubblico potrà provare i prototipi dei videogiochi finalisti e godere del video mapping interattivo Demons’ Revenge, videoproiettato su un trittico dipinto dallo studio iberico Espada Y Santacruz. Nella giornata di domenica 27 ottobre, Iris Peters, coordinatrice del concorso, insieme ad alcuni finalisti, interverrà a una conferenza all’interno della quale sarà possibile approfondire ogni aspetto del progetto.
Brush Chronicles è, invece, un videogame italiano rivolto al pubblico dei ragazzi delle scuole secondarie. Consiste nella creazione di un’opera interattiva ambientata all’interno delle più famose opere pittoriche della storia dell’arte.

 Cave! Cave! Deus Videt!

Cave! Cave! Deus Videt!

Will Love Tear Us Apart, ispirato al celebre brano della band post-punk inglese Joy Division e già presentato ad Ars Electronica 2013, ottenendo inoltre una nomination al Festival du Nouveau Cinéma di Montréal, è un altro prodotto innovativo realizzato dallo studio indipendente Mighty Box Games e finanziato da Malta Arts Fund. Costantino Oliva, Assistant Lecturer presso l’Institute of Digital Games dell’Università di Malta e Project Manager di Mighty Box Games, illustrerà le finalità del progetto e dettagli inediti sulla realizzazione, fino al feedback ricevuto e al dibattito che ne è scaturito. Repubblica l’ha definito “difficile, affascinante, misterioso, psicologico, triste, scuro“, concludendo che “non è un gioco, in fin dei conti”. Questa affermazione ci riporta alla tua domanda precedente sull’inadeguatezza del termine ‘videogioco’, o della nozione più comunemente diffusa di videogioco. Inoltre, per entrambi i giorni, sono previste partecipazioni a sorpresa…

Filippo Lorenzin

http://www.playing.vg/

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Filippo Lorenzin

Filippo Lorenzin

Filippo Lorenzin è un critico d’arte contemporanea e curatore indipendente. Si interessa principalmente del rapporto tra arte, tecnologia e società, seguendo un percorso in cui confluiscono discipline come l’antropologia, la psicologia e la storia. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti…

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