Anatomia di uno spazio per l’arte a Istanbul. Arter e le sue mostre

Cos’hanno in comune l’arcinoto Mat Collishaw e il giovane artista turco Volkan Alsan? Entrambi, fino al 13 agosto, hanno una personale da Arter, a Istanbul. Vi raccontiamo spazio e mostre. Mentre in piazza gli scontri proseguono, con la chiusura di un parco cittadino a fare da innesco.

Arter è quello che si definisce il paradiso per un artista: sei piani di un palazzo storico nel cuore della Istanbul europea con la mission di finanziare, ospitare e promuovere nuove produzioni di artisti turchi e internazionali. Non una galleria e neanche un museo, dal 2010 Arter, per iniziativa della Vehbi Koç Foundation, la principale fondazione privata turca nonché main sponsor della Istanbul Biennial, si propone come uno spazio mecenate e lungimirante, che offre agli artisti discreti budget di produzione e ampio margine di sperimentazione, cosa assai rara in una scena dell’arte addomesticata alle logiche del mercato e ai capricci dei collezionisti.
Attualmente Arter ospita due personali, Afterimage del britannico Mat Collishaw (Nottingham, 1966; vive a Londra), uscito dalle fila degli Young British Artists, e Don’t Forget to Remember di Volkan Aslan (Ankara, 1982), giovane promessa dell’arte turca, che scommettiamo ritroveremo fra qualche anno a rappresentare la Turchia alla Biennale di Venezia.
A dare il benvenuto al pubblico dalla grande vetrina che si affaccia sulla perennemente affollata Istiklal Caddesi, i fiori in resina di Collishaw, The Venal Muse (2012). Di una bellezza magnetica, a uno sguardo ravvicinato rivelano una natura corrotta, con i loro petali infestati da putrescenze e lo stelo che affonda in un terreno imbevuto di petrolio e scorie. L’inglese fu tra gli artisti schierati da Saatchi a Londra nel 1997 per la discussa mostra Sensation, che consacrò il concettualismo spettacolare british Anni Novanta. I tre piani di Arter occupati dalla mostra Afterimage non fanno che ribadire quell’attitudine: l’esposizione è un tripudio di sofisticati marchingegni, seducenti inganni per la vista, ipnotici giochi di scena, macchine per il fumo e luci a volontà, presi in prestito dalla miglior tradizione scenica teatrale.
Lo stesso titolo della mostra si riferisce a una particolare illusione ottica, per la quale un’immagine permane come residuo nel campo visivo anche dopo aver distolto lo sguardo da essa. L’artista si fa scienziato, inventore visionario, un contemporaneo Leonardo che confonde i confini tra arte e scienza per manipolare le nostre percezioni e interferire sul traffico di immagini a cui siamo quotidianamente esposti.

Tra i lavori in mostra, che copre un arco temporale che va dal 1993 a oggi, rintracciamo Whispering Weeds (2011), una delicata riproduzione digitale di un acquarello cinquecentesco di Dürer; Superveillance (2010), una litofania de L’Estasi di Santa Teresa del Bernini, nella quale la luce divina ha la foggia di un enorme scanner posto sul retro dell’opera; Garden of Unearthly Delights (2009), uno zootropio tridimensionale che ricorda gli affollati oli di Bosch. Solo un’opera è stata realizzata ex novo: si tratta di Prize Crop (2013), per la quale l’artista ha manipolato digitalmente la celebre fotografia vincitrice del Pulitzer di Kevin Carter, diventata emblema della fame in Sudan del 1993. Dietro ogni opera di Collishaw c’è sempre un preciso riferimento a un evento storico o contemporaneo, o una citazione dall’arte del passato, più o meno dissimulati. Risulta perciò indispensabile visitare la mostra con la guida tra le mani. Senza, la lettura dell’esposizione rischia di arrestarsi a un livello strettamente retinico.
Salendo al terzo piano si incontra la personale di Volkan Aslan, curata da Emre Baykal e interamente costituita da nuove produzioni. Don’t Forget to Remember più che una mostra è una grande installazione segmentata in sette parti, ognuna a rappresentare la personale visione dell’artista dei giorni della settimana, secondo vecchi ricordi, convenzioni sociali, abitudini e riti quotidiani.
La mostra si apre con Monday: Illuminated Days (2013), un’installazione luminosa sul soffitto fatta di neon disposti a formare un caratteristico motivo ottomano: che cosa, se non le luci al neon, tipiche di uffici e scuole, meglio rappresentano l’inizio della settimana lavorativa? Chiude Sunday: Fragile (2013), una moltitudine di statuette di ceramica e porcellana – i classici soprammobili dei salotti delle nonne – che l’artista ha scovato nei mercatini di Istanbul, collezionato, rotto – per caso o per sua iniziativa – e ricomposto a combinare un bestiario di personaggi assurdi, sarcastici e irriverenti.

Volkan Aslan, Sunday Fragile, 2013

Volkan Aslan, Sunday Fragile, 2013

Con queste due mostre, Arter si conferma come uno degli spazi più interessanti di Istanbul, capace di raggruppare opere di artisti di fama internazionale e mantenere salda la sua posizione in prima linea nel promuovere e incoraggiare nuove produzioni di artisti turchi. Pare, inoltre, che generalmente la fondazione a capo di Arter acquisisca parte delle opere finanziate in vista dell’apertura di un vero e proprio museo. Staremo a vedere.

Marta Pettinau

Istanbul // fino all’11 agosto 2013
Mat Collishaw – Afterimage
a cura di Başak Doğa Temür
Volkan Aslan – Don’t Forget to Remember
a cura di Emre Baykal
ARTER
Istiklal Caddesi 211
+90 (0)212 2433767
[email protected]
www.arter.org.tr

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Marta Pettinau

Marta Pettinau

Marta Pettinau nasce ad Alghero nel 1984, dove al momento vive e lavora. Ma con la valigia in mano. Laureata a Sassari in Scienze dei Beni Culturali, ha conseguito nel 2011 la laurea specialistica in Progettazione e Produzione delle Arti…

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