L’Italia spopola ai Sony World Photography Awards: tre i primi premi portati a casa dai fotografi nostrani alla notte degli Oscar dello scatto. Dominata dal reportage sui sopravvissuti di Utoya della norvegese Andrea Gjestvang

Ai primi tentativi di chiamata, davanti a quel numero esageratamente lungo, nemmeno ha risposto. Chiamano dall’estero, non c’è ragione che qualcuno faccia: devono aver sbagliato. Poi, di fronte all’insistenza, risponde. Dall’altra parte del cellulare è Londra che parla. Alice Caputo da Lecco, classe 1989, ha vinto il Sony World Photography Award nella categoria Lifestyle: set […]

Ai primi tentativi di chiamata, davanti a quel numero esageratamente lungo, nemmeno ha risposto. Chiamano dall’estero, non c’è ragione che qualcuno faccia: devono aver sbagliato. Poi, di fronte all’insistenza, risponde. Dall’altra parte del cellulare è Londra che parla. Alice Caputo da Lecco, classe 1989, ha vinto il Sony World Photography Award nella categoria Lifestyle: set completo di armamentario digitale come premio, gala in stile hollywoodiano per la consegna della statuetta. Un piccolo sogno, cominciato un’estate fa con la cronaca delle vacanze di famiglia, diventata nell’assolato torpore della Liguria un piccolo diario intimo per immagini, personale quanto universale racconto di ordinaria noia post-adolescenziale. Tanto basta per convincere una giuria abituata a vederne di cotte e di crude, se è vero che a presiederla trovi la responsabile dei progetti speciali della Magnum, Catherine Meyerhoff, chiamata a mettere ordine tra i circa 122mila progetti arrivati – a firma di professionisti e dilettanti – da 170 diversi paesi del mondo. Ambisce ad essere l’equivalente fotografico del premio Oscar e, almeno per numero di sezioni e menzioni speciali lo è a tutti gli effetti un evento che, quest’anno, ha sorriso con particolare benevolenza ai fotografi italiani. Quella di Alice Caputo non è infatti l’unica medaglia d’oro portata a casa.
Negli Anni Settanta era autentico status symbol, scarrozzava per le strade di Buenos Aires l’effimera ostentazione del potere da parte dei riccastri di turno. Oggi è poco più che un fenomeno da baraccone, affittato alla bisogna da una middle-class che spende e spande nel tentativo di dimostrare un upgrade che si misura in pietosa trasgressione trash. The Limousine oggetto del reportage argentino che vale a Myriam Meloni la palma nella categoria Arts & Culture è una Ford Fairlane immatricolata quarant’anni fa, simbolo involontario della nostalgia di un benessere mai realmente conosciuto. Sui suoi sedili, immortalati dallo sguardo autoptico della reflex, prendono posto mini principesse destinate a party folli, disinibiti reduci da addii al celibato, coppie più o meno ben assorite. In Sud America, ma con tutt’altre intenzioni, si è mosso anche Valerio Bispuri, vincitore nella sezione Contemporary Issues: sono dieci anni che racconta con il dramma del bianco e nero la condizione degli Encerrados nelle peggiori carceri del continente.
Forte richiamo sociale anche per la vincitrice dell’Iris d’Or, il premio dei premi che vale 25mila dollari. Ha raggiunto i sopravvissuti della strage di Utoya la norvegese Andrea Gjestvang, che ha ritratto con garbo struggente le cicatrici dell’anima, svelando appena quelle della carne. Un portfolio di dolorosa delicatezza, testimone di una pagina che resterà impressa nella Storia.

– Francesco Sala


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Francesco Sala

Francesco Sala è nato un mesetto dopo la vittoria dei mondiali. Quelli fichi contro la Germania: non quelli ai rigori contro la Francia. Lo ha fatto (nascere) a Voghera, il che lo rende compaesano di Alberto Arbasino, del papà di…

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