Biennale Updates: cronache dall’effimero per la prima volta del Padiglione Maldive in Laguna. Tensione tra natura e inquinamento, oriente e occidente; il tutto si apre con la glaciale installazione di Stefano Cagol

Alle otto del mattino non c’è nessuno lungo Riva di Ca’ di Dio. Pochi temerari in tenuta da jogging, i ragazzini che si trascinano a scuola, un paio di turisti. E poi un blocco di ghiaccio. Sbarca dal Canale dell’Arsenale, trascinato a forza di muletto; prende a sciogliersi, inesorabile, una goccia alla volta. È il […]

Alle otto del mattino non c’è nessuno lungo Riva di Ca’ di Dio. Pochi temerari in tenuta da jogging, i ragazzini che si trascinano a scuola, un paio di turisti. E poi un blocco di ghiaccio. Sbarca dal Canale dell’Arsenale, trascinato a forza di muletto; prende a sciogliersi, inesorabile, una goccia alla volta. È il monolite con cui Stefano Cagol significa la sua partecipazione alla Biennale di Venezia, ospite di quel Padiglione Maldive che ha trovato casa – alla sua prima volta in Laguna – in uno stabile semi-abbandonato in viale Garibaldi. Verrà il giorno in cui le Maldive non si saranno più, sommerse un centimetro alla volta dall’innalzamento del livello degli oceani; la raccolta messa insieme dal collettivo Chambers of Public Secrets indugia sul titanico precariato di una terra in crisi di identità, storica piattaforma tra Oriente e Occidente che esorcizza nell’arte la sua eutanasia.
Aggressività post-espressionista per The Disappearance di Wael Darwesh, che colpisce sulla tela con antica disperazione; gli fa da controcanto l’installazione di Patrizio Travagli, tetris di superfici specchianti che illudono e alludono in una straniante frammentazione dello spazio visivo. Inevitabili i riferimenti allo tsunami, che ha portato il suo carico di brutalità anche alle Maldive: sul tema arriva l’installazione di Thierry Geoffroy, mentre a ragionare su una ricostruzione più o meno possibile sono Christoph Draeger ed Heidrun Holzfeind.

– Francesco Sala


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Francesco Sala

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