Prove di Merzbau in piena Brianza

Al MAC di Lissone, fino al 28 aprile, il carnet di offerte espositive è vario e ricercato. La prima tornata primaverile di personali e microprogetti propone giovani artisti e oggetti pieni d'aura, con un debole per l'opera plastica, la scultura e il design. Un tributo al genius loci di una terra di mobilieri.

La prima impressione è di effervescenza: tante mostre allestite con piglio à la Szemann (certe opere sono seminascoste, fuori la porta del museo o dietro la biglietteria), disposte senza soluzione di continuità nei diversi spazi espositivi e intrecciate in un fitto programma di inaugurazioni.
Il primo oggetto che notiamo è un pezzo da museo tout court: la sedia No. 14 di Michael Thonet, ovvero l’emblema del momento di trapasso delle arti applicate dall’artigianato all’industria (Vienna inizio Novecento) e della nascita del design, sotto le spinte opposte e complementari dell’utopia socialista Jugendstil della diffusione del bello presso le masse e della ricerca della moltiplicazione del profitto da parte della neonata industria del lusso. In dialogo c’è la macchina da scrivere Olympia Plana di Johannes Kruger, altro oggetto di design che fece la storia in molti modi, dato che, ci ricorda Ernesto Francalanci in un testo scritto per l’occasione, Paul Auster la usò per scrivere ogni suo romanzo e i nazisti vi inserirono la doppia runa intrecciata delle SS come carattere tipografico. Pochi passi più in là, un adolescente munito di maschera antigas da Gehard Demetz osserva Marmaraviglia II di Piero Dorazio.
Completano il percorso due personali, tra cui una retrospettiva della produzione video di Paolo Chiasera nella quale l’artista bolognese – trapiantato a Berlino – si interroga sulla relazione tra le icone prodotte dalla storia dell’arte e le immagini della realtà, arrivando a inscenare una specie di notte di Valpurga dei dittatori riunendo Saddam, Mussolini, Franco, Hitler e Pol Pot in un casolare padano.

Gehard Demetz, I forgot how the prayer ends, 2010

Gehard Demetz, I forgot how the prayer ends, 2010

Tuttavia, la portata principale è rappresentata dalla mostra diffusa di Gianni Moretti. S’intitola Entre chien et loup e fa riferimento alla locuzione francese che indica la condizione visiva di incertezza in cui è arduo distinguere un cane da un lupo. Una mostra mimetica e dallo statuto ontologico incerto. Coerentemente, le opere sono disposte in modo da essere interrotte dagli altri microprogetti. Inoltre si tratta di mescolare le classi e le proprietà dei materiali: dal prezioso e duraturo simboleggiato dalla lamina d’oro ai perturbanti corollari mortuari di transitorietà e insignificanza allusi dalla polvere. Entrambe hanno la stessa visibilità e lo stesso posto nel plexiglas. Si tratta di giocare sulle illusioni cambiando il senso delle immagini date con un’applicazione posticcia e di abbinare la sensibilità alchemica per i materiali a quella zen per i significati. Si tratta soprattutto di evitare il concettuale fine a se stesso o volto all’illustrazione di un’astrazione, concependo ogni opera come un esercizio di perfezionamento, da cui il diffuso senso malinconico di meditazione sull’impermanenza e la levità molto orientale di titoli come Primo esercizio di approssimazione al grande amore.

Alessandro Ronchi

Lissone // fino al 28 aprile 2013
Gianni Moretti – Entre chien et loup
La scultura interroga la pittura #1 – Gehard Demetz & Piero Dorazio
Readesign. Thonet-Francalanci-Kruger
Videography: Paolo Chiasera
MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA
Viale Padania 6
039 2145174 / 039 7397368 
[email protected]
www.museolissone.it

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Alessandro Ronchi

Alessandro Ronchi

Alessandro Ronchi (Monza, 1982) è critico d’arte e giornalista culturale. Si interessa specialmente di arte dalle origini alla contemporaneità, iconografia, cinema, letteratura, musica e pop culture. Ha diretto il mensile Leitmotiv e collabora con testate giornalistiche, website e gallerie. Tiene…

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