L’America in uno scatto. Anzi, un’ottantina

Quarant’anni di immagini americane. Ventidue autori che sono diventati autentici miti (bandiere) per il mondo della fotografia. Una storia dello sguardo che passa dalla meraviglia della natura alle inquietudini interiori, dal benessere alla protesta sociale. Presso l’ex Ospedale Sant’Agostino, a Modena, fino al 7 aprile.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale ai primi Anni Ottanta, da un’America che prima si consolida e si autocelebra come suprema potenza economica e politica e poi “inizia a guardarsi dentro” in una specie di processo di autoanalisi che rivela “le contraddizioni insite in un benessere tanto notevole quanto devastante”. Così scrive Filippo Maggia nell’introduzione a quel lungo racconto di immagini che è Flags of America, superando ogni idea meramente legata alla figura della bandiera, per privilegiare proprio il concetto di una trasformazione linguistica (di uno “sventolìo di ricerche”) che sembrano seguire e documentare i mutamenti sociali e culturali di un’intera civiltà.
È vero, non mancano immagini con all’interno l’icona a stelle e strisce: si agita tra i corpi accalcati in una manifestazione di protesta (Gerry Winogrand) o ha le sembianze di uno straccio messo ad asciugare lungo una strada di periferia (Robert Frank) o appare addirittura abbandonata sui gradini di una casa di campagna come fosse un giocattolo tra altri giocattoli sovrimpressi (in una riproduzione di Van Deren Coke). Ma non diventa mai il vero fulcro della fotografia, rimane il frammento di una narrazione, la traccia di uno stile.

Bruce Davidson, Black Americans, New York City, 1962

Bruce Davidson, Black Americans, New York City, 1962

A fare da introduzione alla mostra due figure che, subito dopo il periodo dell’“estetica pittorialista”, cercano la foto diretta, l’assoluta oggettività dell’immagine: ossia Ansel Adams ed Edward Weston. Adam riprende il paesaggio, i grandi orizzonti, le sierre, attraverso contrasti forti e nitide messe a fuoco, Weston invece sperimenta una progressiva riduzione delle distanze tra obiettivo e soggetto, una sorta di blow-up ante litteram. Il suo motto è “la precisione al posto dell’interpretazione: vuole far vedere “le cose in se stesse”, scoprendone la sensualità nascosta. Entrambi fanno parte di quel gruppo chiamato F/64 (massima chiusura del diaframma e massima profondità di campo) che insegue il mito del naturale, il fascino del sublime.
Ma a partire dagli Anni Sessanta un altro gruppo si forma attorno a John Szrakowski (direttore della sezione fotografica del MoMA). Fra i protagonisti, Diane Arbus e Lee Friedlander: la prima sempre pronta a cogliere il grottesco, l’ambiguo che abita le figure che ritrae; il secondo capace di inventare un nuovo spazio visivo, quello degli interni domestici o dei motel, dove la vita si riduce ad un volto affacciato ad uno schermo televisivo.

Stephen Shore, Bay Theater, Second Street, Ashland, Wisconsin, July 9, 1973

Stephen Shore, Bay Theater, Second Street, Ashland, Wisconsin, July 9, 1973

È l’altra faccia della medaglia: il formalismo e il realismo lasciano il posto a un “reportage” che entra in maniera profonda tra le pieghe del quotidiano. Lo straordinario non è più fuori, nella grandiosità del paesaggio, ma nei particolari, in ciò che è antieroico (nell’immagine di una bambina attonita a Harlem di Bruce Davidson, nelle periferie anonime di Stephen Shore, perfino nelle scene sfocate e negli scatti multipli di R. Eugene Meatyard, dove la realtà si fa visionaria e le figure incerte, frammentate, marginali).
Ventidue gli artisti esposti (per un totale di ottantadue immagini): il tutto per “capire come il mondo attorno a noi vada cambiando”, ma soprattutto come vada cambiando il nostro modo di vederlo.

Luigi Meneghelli

Modena // fino al 7 aprile 2013
Flags of America
a cura di Filippo Maggia
Catalogo Skira
EX OSPEDALE SANT’AGOSTINO
Largo Porta Sant’Agostino 228
059 239888 | 335 1621739
[email protected]
www.fondazionefotografia.it

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Luigi Meneghelli

Luigi Meneghelli

Laureato in lettere contemporanee, come critico d'arte ha collaborato e/o collabora a quotidiani (Paese Sera, L'Arena, L'Alto Adige, ecc.) e a riviste di settore (Flash Art, Le Arti News, Work Art in progress, Exibart, ecc.). Ha diretto e/o dirige testate…

Scopri di più