Verso il Padiglione Italia. Parla Luca Vitone

Nel 2011 ha detto di no a Vittorio Sgarbi, con un outing deciso e argomentato che non ha mancato di suscitare polemiche. Oggi dice sì a Bartolomeo Pietromarchi: Luca Vitone è tra i nomi del prossimo Padiglione Italia. Dove porterà, in omaggio a Ghirri, il suo grido di dolore per un paesaggio avvelenato. Altre interviste ai protagonisti dell’Italia in Biennale le troverete sul prossimo Artribune Magazine: da Giulio Paolini a Sislej Xhafa.

Dopo l’assegnazione dell’incarico di curatore del Padiglione Italia a Bartolomeo Pietromarchi, è subito scattato il toto-nomi. Che in Laguna arrivasse Baruchello si dava quasi per scontato, lo stesso vale per altri artisti. Di Luca Vitone in pochi hanno parlato. Sei una sorpresa?
Ho lavorato una prima volta con Pietromarchi nel 1997, quando collaborava con Carolyn Christov-Bakargiev, che mi ha voluto alla Quadriennale di Roma; poi, mentre era alla Fondazione Olivetti, ha contribuito perché si potesse realizzare la mia personale al PS1 del MoMA. Ci conosciamo da anni: quando è uscita la notizia della sua nomina, diversi amici mi hanno contattato quasi dando per scontato che mi avrebbe selezionato.

E tu? Come rispondevi? Immagino la scaramanzia…
Non posso dire che me lo aspettassi, ma nemmeno che sia stata un’assoluta sorpresa. Diciamo che si è trattata di una conferma del fatto che Pietromarchi apprezza il mio percorso.

Buona la seconda, allora. Considerato che due anni fa avevi risposto picche alla chiamata di Vittorio Sgarbi.
L’invito alla scorsa Biennale era avvenuto con modalità che ho trovato bislacche, per questo ho scelto di non accettare. È stata una decisione che da un lato mi ha dato molta visibilità, se penso al riscontro mediatico che ha avuto il mio rifiuto, ma che non è stata affatto semplice. Si tratta, comunque, della Biennale di Venezia: non è semplice dire di no. E non è stato immediato spiegare al mio gallerista di Berlino [Christian Nagel, N.d.R.] il perché di una scelta così forte.

Luca Vitone, Rogo, 2012 - particolare da proiezione in pellicola super 16 mm - Collezione Museion, Bolzano

Luca Vitone, Rogo, 2012 – particolare da proiezione in pellicola super 16 mm – Collezione Museion, Bolzano

Il timore è quello del “chissà quando mi ricapita”… Considerato che nel tuo caso hai dovuto attendere così poco, la storia si chiude con un lieto fine. Nel gioco delle coppie proposto da Pietromarchi sei stato abbinato a Luigi Ghirri. Che ne pensi di questo dialogo?
Negli ultimi anni mi è capitato di lavorare sul tema del paesaggio, e questo mi ha molto avvicinato all’arte di Ghirri: l’invito di Pietromarchi mi mette nella condizione di approfondire ed esplicitare un rapporto che io stesso non immaginavo essere così profondo. Ma che scopro ogni giorno di più essere davvero stimolante.

A cosa stai lavorando? Cosa porti a Venezia?
Sto elaborando una riflessione sulla trasformazione dell’edilizia da oggetto risolutivo a oggetto definitivo: mi occuperò del dramma dell’inquinamento da amianto, con particolare riferimento al caso dell’Eternit di Casale Monferrato.

Da tempo lavori con oggetti residuali e di scarto, basta pensare al tuo ricorso alle ceneri di termovalorizzatori come materiali pienamente pittorici. Siamo in quel filone?
Mi interessa, di questo tipo di materiale essenzialmente monocromo, la natura di anti-pigmento: non esalta la pittura, non ne celebra il trionfo. Arriva semmai ad annullarla, ferirla. Credo che per questo sia materia fedele per comporre ritratti di un territorio, che finiscono per essere, in un certo senso, auto-ritratti “fatti” dai territori stessi.

Luca Vitone, Finestre (Isola dell’arte), 2004 - veduta della mostra Monocromo Variationen, Museion, Bolzano 2012

Luca Vitone, Finestre (Isola dell’arte), 2004 – veduta della mostra Monocromo Variationen, Museion, Bolzano 2012

Parti da polveri e ceneri, arrivi all’amianto. Un percorso apparentemente omogeneo, ordinato.
Nell’autunno scorso, proprio nei giorni in cui sarebbe arrivata la chiamata dalla Biennale, mi è stato chiesto di produrre una fotografia originale per il numero di fine anno de Il Venerdì di Repubblica, che ha pubblicato dodici scatti d’autore per raccontare il 2012. Ho scelto l’immagine di un tetto in eternit che ho visto a Milano, in un’area della città a cui sono molto legato: si tratta di un aspetto del paesaggio urbano a cui mi interesso da tempo. È arrivata un’opportunità per approfondire il discorso.  

Francesco Sala

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