Il volo del Papa

E poi, ogni tanto, capitano eventi che lasciano intravedere in maniera molto chiara la natura feconda del contemporaneo, agganciata al futuro così come al passato. Prendete il volo del Papa, in elicottero, dal Vaticano a Castel Gandolfo alle 5 di pomeriggio del giorno delle sue dimissioni…

Il volo del Papa si inserisce in quella che Eric Hobsbawm aveva definito “l’invenzione della tradizione”: non essendoci rituali consolidati a cui riferirsi, in questo caso la tradizione viene costruita live, in diretta. Aldo Grasso ha giustamente parlato, sul Corriere, di una pagina di grande cinema: e di questo effettivamente si tratta. In molti hanno notato la bellezza di queste immagini, in cui si condensa una stratificazione di significati e dimensioni.
E se guardate l’intera scena del volo su un qualunque canale televisivo americano (per esempio, Abc), le immagini che sarebbero da contemplare in silenzio sono invece sovraccaricate dai continui commentari degli ospiti, verbosità onnipresente che soffoca tutte le immagini, anche le più rilevanti, le più traumatiche, quelle che riescono a emergere dall’oceano del rumore di fondo, ottundendole e comprimendole. Le immagini sono soffocate dai suoni e dal flusso continuo delle parole, così come dalle “cornici” che le inquadrano e le riducono.

Ora ritornate a un video con il sonoro originale (nella versione integrale, di circa 15 minuti, o anche in una di quelle ridotte, di circa 2-3 minuti) delle campane di tutta Roma che salutano il Papa e il suono delle pale dell’elicottero (ci sono due elicotteri: l’oggetto della ripresa, e quello su cui è posizionata la telecamera che riprende). C’è un precedente esatto di questa scena, che la anticipa persino nello stile della ripresa: la scena iniziale de La dolce vita (Federico Fellini 1960).
Lì, l’elicottero trasporta una statua di Gesù; arriva a Roma, sorvola le borgate, la gente lo saluta dai tetti delle case e, come avviene con i muratori, dalle strade (precisamente come avverrà, 53 anni dopo, con Benedetto XVI e i suoi fedeli romani). È una visione che sovrappone i due livelli della tradizione millenaria e della modernità; così come quelli del sacro e del profano, con Marcello Rubini, alter ego dello stesso Fellini, che – nella sua prima apparizione in assoluto nel film – chiede il numero di telefono a una delle ragazze che prendono il sole in bikini sul tetto.

E, nella scena attuale (il video della tv del Vaticano, che vi mostriamo), la voce dell’operatore che urla in sottofondo e fuori campo (presumibilmente dietro la ripresa): “Daje, stacca sta cazzo de cameraaa!”, sembra prelevata direttamente da La dolce vita. Un frammento di realtà e di verità incastonato nella solennità del momento, uno stilema romanesco che dissacra la magnificenza dell’istituzione e della (nuova) tradizione visiva e culturale, riportandola sul terreno dell’umanità, degna di un Monicelli o di uno Scola.
I movimenti del 1960 e del 2013, infine, sono opposti. Nel modello felliniano, la statua di Gesù e l’elicottero si dirigevano verso San Pietro e il Vaticano (“Ma dove lo state portando?” “Dal Papa!”); oggi, l’elicottero trasporta il Papa stesso dal Vaticano verso lo spazio esterno, della città e della propria funzione.
Questa scena rischia davvero di fissarsi come un classico, e di passare alla storia come una grande opera d’arte.

Christian Caliandro

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

Scopri di più