Più realista del re: sarà Jeremy Deller ad occuparsi del Padiglione britannico alla prossima Biennale di Venezia. Un presumibile ritorno all’attualità, dopo il fascinoso disorientamento di Mike Nelson

Ha fatto di cortei e parate una forma d’arte. Ha inscenato la rievocazione della Battaglia di Orgreave, momento più drammatico e intenso delle tensioni sociali Anni Ottanta; e ha portato in galleria lo scheletro abbrustolito di auto bombardate durante la guerra in Iraq. I tempi sono inquieti, e dunque maturi perché il Padiglione britannico alla […]

Ha fatto di cortei e parate una forma d’arte. Ha inscenato la rievocazione della Battaglia di Orgreave, momento più drammatico e intenso delle tensioni sociali Anni Ottanta; e ha portato in galleria lo scheletro abbrustolito di auto bombardate durante la guerra in Iraq. I tempi sono inquieti, e dunque maturi perché il Padiglione britannico alla Biennale di Venezia vada a Jeremy Deller, classe 1966, vincitore nel 2004 del Turner Prize. Un ritorno alla realtà, all’arte come linguaggio estetizzato della cronaca; un twist deciso rispetto all’inquieto e labirintico disorientamento che nel 2011 aveva ordito Mike Nelson. A selezionare Deller un board variegato, che va dall’eccentrico critico del Sunday Times Waldemar Januszczak fino all’imprescindibile direttore della Tate Modern, Chris Dercon. “È una specie di pifferaio magico della cultura popolare” commenta Andrea Rose, commissario del padiglione britannico; valutazione espressa in virtù della sua “grande abilità nel riunire ogni sorta di persona e comunità, e di orchestrarle secondo schemi inattesi”.
Sospeso tra video, installazione e performance, Deller fotografa in questo momento il perfetto genius loci britannico. Parola dello stesso Dercon, che in una recentissima intervista al New York Times aveva messo in luce gli aspetti “intensi, empatici e mai superficiali” della sua arte. Una nomina che sembra davvero in linea con i tempi, chissà quanto suggestionata dall’atmosfera che aleggia su Londra. Con il crudo pragmatismo del governo Cameron, decisamente e sfacciatamente orientato verso il – chissà quanto – sano ricorso ad una austerity che sembra davvero presagire nostalgie thatcheriane.

Francesco Sala

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