Nino Migliori: lasciare la strada vecchia per la nuova

Di cosa sono fatti i sogni? Di una materia che forse assomiglia alla fotografia: bianchi e neri o vortici di colori che rapiscono in un viaggio onirico. O ancora, forme che si sciolgono sulla pellicola, o misteriose operazioni di pirografia e di polapressure. I nostri sogni, quelli di Nino Migliori, in mostra da Forma, a Milano, fino al 6 gennaio.

Fotografo è un termine riduttivo per definire Nino Migliori (Bologna, 1929): meglio parlare di sperimentazione e di innovazione, per un giocoliere che ha sempre applicato ai mezzi fotografici nuove tecniche, portandole a un livello altissimo di ricerca sull’immagine.
Migliori inizia a fotografare nell’immediato dopoguerra, nell’Italia dei paesi, nella realtà di una vita quotidiana dura e coraggiosa dove, dall’Emilia al Sud, gli sguardi sono quelli di ragazzini magri, di donne velate di nero, di Frati volanti (1956) e di un perfetto Tuffatore (1951); sono gli anni del Neorealismo e del ritratto di una nazione che si stava costruendo con fatica e con successo attorno a un’idea, ma anche e soprattutto attorno alle nuove immagini del cinema e della fotografia. “Finita la guerra, finalmente mi sentivo libero”, scrive Migliori, “mi sembrava di riuscire ad appropriarmi delle persone”.

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Nino Migliori, da Italian sketchbook, dal 1984, courtesy dell’artista

Molti artisti hanno poi proseguito sulla strada del figurativo, di quel bianco e nero che talvolta è diventato fotoreportage, altre volte orientandosi verso ricerche nel solco dell’indagine sul sociale, sulle verità del mondo. Per Migliori non è stato così. Affascinato dai dettagli tanto quanto dai procedimenti alchemici della camera oscura, da quel “linguaggio fatto di equilibri chimici e apparati meccanici”, ha inventato nuovi generi: dalla serie dei Muri ai Pirogrammi, da La mia città (1958) ai Cliché-verre, dalle Ossidazioni alle strepitose manipolazioni sulle polaroid e agli scatti ripresi a lume di candela, fino ad arrivare alle installazioni e ai lavori più recenti, come Elegia della carne (2008-2011) e Non senso (2011). Tra off camera e ripresa del reale, Migliori riesce tuttavia a non perdere mai il senso cruciale della memoria, in un continuo scarto tra stili e procedimenti, tra bianco e nero e colore.
All’interno dei molteplici fili conduttori dell’opera di Migliori, ne spiccano due: da un lato la curiosità, dall’altro una preziosa ironia, un costante bisogno di mettersi in gioco con quella leggerezza che è solo dei grandi, davanti a tutto e a tutti, senza essere mai inquadrato in uno schema a priori e, anzi, infrangendo tutti gli schemi. Con il cuore di un bambino, con l’entusiasmo di un ragazzo e con l’esperienza di un ottantenne.

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Nino Migliori, Autoritratto, 1976, courtesy dell’artista

Una produzione sconfinata che vale ben due mostre monografiche: la prima in corso al Forma di Milano e la seconda in gestazione a Palazzo Fava di Bologna, in un’operazione che ha dato luogo a una rara – quanto funzionale e apprezzabile – partnership tra due istituzioni, all’insegna della valorizzazione di uno “scrivere con la luce” lungo una vita e raccolto in un imponente catalogo edito da Contrasto.

Marta Santacatterina

Milano // fino al 6 gennaio 2013
La materia dei sogni di Nino Migliori
FONDAZIONE FORMA PER LA FOTOGRAFIA
Piazza Tito Lucrezio Caro 1
02 58118067
[email protected]
www.formafoto.it

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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