La valigia di cartone 2.0

Dal 29 marzo al 1° aprile a Selinunte si è svolta una mostra insolita, curata da Diego Barbarelli per conto dell’Associazione Italiana di Architettura e Critica. Presentava una cinquantina di valigie, ciascuna spedita da uno studio di architettura italiano trasferitosi in pianta stabile all’estero.

In ogni valigia esposta alla mostra di Selinunte, un portfolio dei lavori e oggetti che raccontavano i motivi dell’emigrazione. Messe una accanto all’altra, le valigie facevano una certa impressione. Nonostante nessuna, attraverso i propri contenuti, rimproverasse qualcuno o recriminasse qualcosa, tutte raccontavano di uno dei più stupidi errori che le nostre istituzioni stanno perpetuando contro l’intelligenza della nazione: l’esodo dei cervelli e, in particolare, di una parte consistente della nostra creatività.
Facciamo i conti. Sono arrivate cinquanta valigie dai Paesi più diversi: dalla Francia alla Spagna, dall’Olanda agli Stati Uniti, dalla Cina alla Corea. Considerando che l’indagine è stata condotta prevalentemente sul passaparola e le valigie richieste a cento studi, di cui solo la metà ha aderito, ciò vuol dire che di collettivi italiani di architettura operanti in pianta stabile in tutto il mondo ce ne saranno quattro volte di più e che, quindi, il fenomeno interessa almeno un migliaio di persone.  Se aggiungiamo i numerosissimi progettisti che non sono strutturati e lavorano da impiegati o da freelance nei grandi e medi studi internazionali – e sono tanti: basta guardare i nomi che appaiono in calce a qualsiasi lavoro di Foster, Hadid, Koolhaas, Nouvel, Eisenman – arriveremo ad almeno tremila persone.

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Architetti a Selinunte

Certo, alcuni progettisti emigrati, complice la crisi economica che sta investendo un crescente numero di Paesi europei, torneranno in Italia. Ma il trend è comunque crescente e il problema si pone a due livelli. Formale: perché non si può continuare a divulgare la fandonia dell’italianità dell’architettura italiana quando oggi sta avvenendo un fenomeno molto più complesso e interessante di condivisione e ibridazione dei linguaggi e degli orientamenti estetici. E di politica culturale: ammesso che l’emigrazione sia indispensabile, non è pensabile che le università evitino di mettere i nostri ragazzi in condizione di competere in un mercato sempre più globale, per esempio non insegnando loro le lingue e gli standard di progettazione internazionali. Ed è assurdo che non ci siano all’estero strutture che li supportino e li orientino una volta trasferiti.
L’anno scorso, Graziella Trovato Moya ha curato, sempre per conto dell’Associazione Italiana di Architettura e Critica, una mostra di una ventina di studi di architettura italiani operanti in Spagna. Una esposizione ben strutturata con un catalogo edito da Mancosu e fornita alle istituzioni senza alcun costo. Sapete in Italia chi l’ha ospitata? L’Istituto Cervantes. E perché? Provate a immaginarvelo guardando le foto delle facce delle persone che in Italia si occupano, istituzionalmente, di architettura.

Luigi Prestinenza Puglisi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #7

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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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