Flavio Tosi vuole fare il leghista dal volto presentabile, ma poi compone la nuova giunta di Verona privandola dell’assessore alla cultura. Complimenti

E menomale che doveva essere il leghista dal volto nuovo. Il maroniano del futuro. Colui che poteva e doveva portare il movimento fondato dal padre di cotanti figli (al secolo Umberto Bossi) ad un quoziente per lo meno accettabile di presentabilità. Niente da fare: i leghisti –come tutti gli altri, sia chiaro- non ce la […]

E menomale che doveva essere il leghista dal volto nuovo. Il maroniano del futuro. Colui che poteva e doveva portare il movimento fondato dal padre di cotanti figli (al secolo Umberto Bossi) ad un quoziente per lo meno accettabile di presentabilità. Niente da fare: i leghisti –come tutti gli altri, sia chiaro- non ce la fanno neppure loro a capire che la cultura non è banalmente il petrolio del paese, ma ne costituisce l’energia rinnovabile. Qualcosa che se ben gestito ce lo avrai per sempre, ti porterà ricchezza per sempre, ti farà per sempre stare meglio di chi non ce l’ha.
Il “colui” di cui sopra risponde al nome di Flavio Tosi e il motivo di nostra sì piccata introduzione è la nuova giunta del Comune di Verona. Che è Verona, una delle top ten città italiane quanto a ricchezza, centralità, produzione, mica Sgurgola Marsicana. Ebbene Flavio Tosi, dopo aver stravinto l’appena terminato turno amministrativo, e dopo averlo vinto in barba ad una Lega Nord che dovunque è praticamente scomparsa, ha pensato bene di non nominare un assessore alla cultura. Nella città di Palazzo Forti, della Gran Guardia, dell’Arena, di ArtVerona, degli Scavi Scaligeri e di mille altre cose l’assessore alla cultura della precedente giunta, Erminia Perbellini, non è stata riconfermata (tra l’altro si è detta contenta: “così magari arriveranno più soldi per mostre e musei”, ha dichiarato a L’Arena) e le deleghe se le è tenute direttamente il sindaco in una sorta di interim.
Voi ce lo vedete Flavio Tosi, che de facto è un politico nazionale e che comunque deve fare il sindaco di una grande e complessa città, mettersi ad assolvere con perizia e dovizia i compiti di assessore alla cultura, nominare direttori artistici, prendere decisioni sulle mostre, decidere come promuoverle, dare la linea ai musei…? La domanda è retorica, come è ormai retorico considerare come si stia sfaldando il presidio che gli enti locali hanno garantito ad eventi e strutture culturali negli ultimi anni. Nel 2011 la norma è cambiata e i componenti delle giunte comunali sono stati ridotti: una città come Verona, ad esempio, è dovuta per legge passare da 12 a 10 assessori. Nel taglio qualcuno doveva rimetterci, ovviamente è stata la cultura ovvero la prima voce di pil del paese. Per ora. La domanda è? Gli operatori culturali della città, i galleristi, le associazioni, gli artisti, gli intellettuali si son fatti sentire o, come capita non di rado in questi casi, hanno fatto finta di niente?

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