Terminal Zoo. Una giornata a Berlino

Rapida e performante, la giornata di Martina Cavallarin a Berlino. Fra l’immancabile Kunst-Werke e studio visit che profumano d’Italia in trasferta, forse permanente. E anche il comparto gallerie sa di Belpaese, fra Mario Mazzoli e Delloro. Dove magari s’incontra un concerto di Martin Creed.

Gli “alternativi dell’arte contemporanea” a Berlino stanno nello stesso rapporto degli animali allo zoo: liberi di scorrazzare in una gabbia sufficientemente grande, aperta, visitata. Sono coloro che tentano di entrare nel mondo dell’arte senza averne le reali capacità/necessità, perché artisti non sono. La sopravvivenza nell’arte diviene in loro un universo parallelo espressivo, consapevole, propositivo e vitale, più della vita stessa Questi occupano le sacche residuali, sono giovani e meno giovani, poveri e finti poveri, convinti e spauriti, tenebrosi e sorridenti, nel complesso: omologati. Sanno sempre dove essere e come essere; sul chi essere il dubbio sale. Questa folla si stempera con il tempo, il loro e un po’ anche il nostro.
L’energia di questa città con il “cielo grande” è un flusso di andata e ritorno, una corrente che prende e restituisce, immensa e bellissima anche con il gelo, anche con il sole. Ciò che Berlino insegna è che si può essere in qualsiasi modo con estrema libertà, senza sguardi puntati e giudizi provinciali, tuttavia per produrre l’opera d’arte occorre essere spinti da un’ossessione, uno sguardo, un talento che pochi posseggono e ancora meno realizzano. Allora la ricerca si focalizza su degli interstizi che si fanno abissi straordinari da sorvolare con una cura da chirurgo e una delicatezza da nutrice.

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Lo studio berlinese di Olafur Eliasson

Dalla pacata e familiare Kastanienallee mi spingo nella sciccosa e francesizzata Mommsenstrasse 27, in cui Factory Art di Roberto Bogatec ha ristrutturato delle cantine per una galleria dal sapore metropolitano in cui la selezionata You can tell me! è una sinuosa collettiva di talenti internazionali. Passo poi alla potente galleria Johann Konig, posizionata geograficamente – e metaforicamente – nel centro nevralgico passato e futuro di Berlino, con una personale della giovane Alicja Kwade, installatrice concettuale e intelligente, fredda e asciutta, dotata di un’opera che è un ponte psicologico tra materiali impiegati e umana empatia.
Entrare ai Kunst-Werke in Auguststrasse è un’esperienza scioccante: la rassegna You Killed Me First. The Cinema of Transgression, pulp, drammatica, con abissi di violenza sessuale che sconfinano nel grottesco, è un vortice di allestimenti perfetti tra lenzuola come schermi, indicazioni di scotch bianco su tende nere, luci strobo: chissà come, tutto è naturalmente ineccepibile, da noi sarebbe patetico. E qui s’innesta la differenza, il talento, la destrezza, la cultura radicata e connaturata tra le pieghe più profonde. E la scelta dei materiali è infinita in questo angolo di mondo in cui il Planet Modulor, store di Prinzenstrasse 85, è un pianeta dei balocchi per gli artisti di tutta Europa: buste, carte, acetati colorati, cornici, pinze, il tutto a cifre quasi ancora convenienti.

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Alessandro Lupi

Gli studio visit offrono visioni di angoli inaspettati. Una vera sorpresa, punto nevralgico, energetico e strutturato, nonostante gli sforzi privati del non profit che ben conosciamo in Italia, è costituito dal complesso di Christinen Strasse, ex fabbrica della birra, prestata ad atelier del Meinblau in cui tra gli altri risiedono il genovese light artist Alessandro Lupi e lo scultore trentino Andreas Burger. Intorno a loro, un ristorante arredato con design vintage dal sapore raffinato, un ostello organizzato, il funzionale ICI – Kulturlabor Berlin / Institute for Cultural Inquiry, lo studio tedesco di Olafur Eliasson con assistenti in frenetico montaggio e nel cortile il suo corridoio specchiante: un mondo nel mondo.
L’artista sonoro Douglas Henderson ci accoglie in febbrile lavoro: campionature, voci impresse con un processo dedicato e personale, la registrazione di un poema recitato a velocità vorticosa da un amico professionista, installazioni perfette di subwoofer, casse acustiche e sculture spiralate si compongono con dettagli di meccanica tecnologica innestati in strutture povere, cemento, installazioni, geometrie e riflessi che ci accoglieranno il 9 marzo nella sperimentale Mario Mazzoli Gallery.
La sera ci attende con altre luci e altri suoni: alla italiana Galleria Delloro, nel distretto di Kreuzberg, il concerto di Martin Creed and His Band è un’orgia di sensazioni virtuose. Ma di questo vi abbiamo già detto qualche giorno fa.

Martina Cavallarin


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Martina Cavallarin

Martina Cavallarin

Martina Cavallarin, Venezia, 17-12-1966. Critica e curatrice, si occupa di arti visive contemporanee. Il suo sguardo spazia tra differenti linguaggi e necessarie contaminazioni. Il senso è quello di esplorare direzioni e talenti dell’arte che va dalla pittura alla fotografia, dal…

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