Parola alla casta. È la volta di Bologna

Seconda tappa del primo volume. No, non è una puntata di uno sceneggiato di “610”, ma l’intervista al neoassessore bolognese Alberto Ronchi. Dopo quella realizzata con la sua omologa a Cagliari.

Filosofo prestato alla politica, che non lo ha più restituito. Dopo aver operato nella cultura a Ferrara, ne è diventato assessore, per poi proseguire nello stesso ruolo in Regione Emilia Romagna e ora a Bologna. Lui, Alberto Ronchi, si definisce “un caso strano, perché mi sono sempre occupato di cultura”. Ci spiega che cosa ha in mente: una cultura contaminata, integrata e facilmente visitabile. Se poi cambia la viabilità e aumentano i servizi, meglio: perché il turismo culturale non è tutto, ma fa. La politica? Non faccia mostre ed eventi, ma dia bilanci chiari e direttive programmatiche coerenti a lungo termine. Solo così arriveranno gli investimenti dei privati.

Politica e cultura. Quali interrelazioni?
L’amministrazione deve dare indirizzi e offrire un bilancio leggibile e coerente con questi indirizzi. Non deve organizzare eventi, per questo ci sono istituzioni preposte alla produzione di cultura. Dal periodo di Bologna Capitale Europea della Cultura, dal 2000, l’amministrazione comunale non ha svolto la regia della politica culturale, anche se la città è ricca di cultura.

Ha una vaga idea di cosa significhi “arte visiva” a Bologna?
Non sono uno specialista, ma credo che Bologna debba caratterizzarsi per l’attenzione al contemporaneo, perché è legato più di altri settori alla contaminazione dei linguaggi. Vorrei che le strutture culturali lavorassero molto sulla contaminazione.

Bologna Palazzo Magnani UniCredit Parola alla casta. È la volta di Bologna

Bologna, Palazzo Magnani, UniCredit

Misure concrete per questa consiliatura?
Serve fare un sistema museale vero, che non sia fatto solo di musei civici, ma integri anche le fondazioni, come Cassa di Risparmio, i beni ecclesiastici, i musei statali, l’università.

Altre mpellenze culturali felsinee?
Bologna non ha mai ragionato a fondo sul turismo culturale, che invece merita, vista la sua ricca offerta. Un segmento che, anche se parziale, è molto importante. Prima cosa da fare: fornire al visitatore un sistema integrato, semplice da fruire. Ciò riguarda anche la viabilità, i servizi e la comunicazione, che vanno integrati.

Okkay, ma il MAMbo avrà pure un ruolo in tutto ciò, no!?
C’è stato un grande investimento sul MAMbo, con un grosso intervento urbanistico. Oggi si pone l’interrogativo di come valorizzarlo, specie in un momento di risorse limitate. Ragioneremo con il direttore, credo che occorra aprire la struttura alle esperienze estetiche più avanzate. Le mostre d’arte contemporanea hanno costi elevati, e difficilmente saremo in grado di produrre questo tipo di eventi.

Museo MAMbo Parola alla casta. È la volta di Bologna

Museo MAMbo

E i privati? Coinvolgerli no?
È questa la grande sfida! L’apporto non è mai mancato da parte delle fondazioni, ma la fiscalità italiana non aiuta. A Bologna dobbiamo avere idee chiare, indirizzi coerenti e una regia complessiva che funzioni, altrimenti si fa fatica a ottenere l’investimento privato. Poi esiste un mondo privato che fa cultura, che va tenuto in conto, sapendo che vi è una differenza di ruoli.

Mecenatismo privato. Bologna potrebbe avere un suo Della Valle?
Credo possa avvenire solo per i grandi monumenti mondiali, che offrono una visibilità globale. Da parte mia non vi sono tabù ideologici, ma Bologna non si può mettere sullo stesso piano di Venezia, Firenze o Roma: giocano un campionato a parte.

Che ruolo ha lo Stato nel sistema museale bolognese?
Se le sovrintendenze vengono lasciate allo sbando, senza soldi per la carta delle fotocopie, poi è difficile che la Pinacoteca possa aprirsi a fare sistema. Qualcosa sta cambiando, ma nel federalismo manca il capitolo cultura.

Veduta dallalto Parco Cavaticcio Bologna Parola alla casta. È la volta di Bologna

Veduta dall'alto - Parco Cavaticcio - Bologna

E se le chiedessimo quale artista porterebbe alla Biennale.
Questo gioco lo lasciamo a Sgarbi, il cui modo di fare politica culturale, da lui inventato e mutuato da un certo tipo di televisione, è ora in crisi. Occorre differenziarsi dai metodi della televisione, rivedere i modelli. Oggi è successo qualcosa, il re è nudo, la tv non pesa più come una volta: lo dicono i referendum. Ciò vale anche per la cultura. Si può costruire un modello nuovo.

Nicola Davide Angerame

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Articolo pubblicato su Artribune Magazine #2

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Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame è filosofo, giornalista, curatore d'arte, critico della contemporaneità e organizzatore culturale. Dopo la Laurea in Filosofia Teoretica all'Università di Torino, sotto la guida di Gianni Vattimo con una tesi sul pensiero di Jean-Luc Nancy, inizia la collaborazione…

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