Lorenzo Giusti a tu per tu

Italiani bamboccioni? A Firenze “ell’è una bischerata”! Giovani, carini e occupati lì ci sono, pronti a sfatare il cliché degli eterni immaturi. Un esempio? Lorenzo Giusti, classe 1977, younger than Jesus nel 2009, quando fu arruolato curatore – insieme ad Arabella Natalini – dallo spazio EX3 di Firenze, diretto da Sergio Tossi, “giglio” all’occhiello tra i cubi bianchi non profit. Allora, nell’appendice geografica italiana, c’è speranza di demolire l’anatema del fu Padoa-Schioppa. Vediamo come.

Mentre Arabella è avvantaggiata da natali nella swinging London, a te, trentenne italiano, quant’è costato lasciare il focolare domestico per sciacquare i panni fuor d’Arno?
I soggiorni, più o meno lunghi, e i viaggi fuori dall’Italia sono stati tutto fuorché un peso. I più emozionanti e fecondi si sono rivelati quelli fatti senza uno scopo preordinato, per andare a trovare artisti o amici, come in Israele o in Argentina. Ma anche le esperienze di studio e di lavoro a Parigi, New York e Shanghai mi sono chiaramente servite. Alle “andate” sono comunque sempre seguiti dei “ritorni”. Il nomadismo non sembra fare per me.

Michel Foucault ha definito “deleuziano” il Novecento, riferendosi all’”Empirismo e soggettività” (per citare un suo titolo) teorizzate da Gilles Deleuze. All’arte, il filosofo francese affida infatti il compito di condensare nel tempo aggregati di sensazioni e percezioni. Per captare l’empirismo profetico degli artisti occorre una sensibilità fuori dal comune, un orecchio da melomane. A te quando è iniziato il ronzio?
Quel ronzio di cui parli, se ho intuito la tua metafora, credo di averlo avvertito la prima volta quando ho visto una riproduzione del Viandate sul mare di nebbia di Friedrich sul mio libro di scuola del liceo. L’uomo di fronte all’impossibilità di una visione nitida e completa della natura e del mondo è un’immagine-guida per me. Oggi la ritrovo declinata in forme diverse, aggiornata in nuovi linguaggi, ma il suo significato più profondo non sembra aver perso valore.

Eva Marisaldi Grigio nonlineare veduta dellinstallazone 2010 Lorenzo Giusti a tu per tu

Eva Marisaldi - Grigio nonlineare - 2010

Alle volte sono le mostre a sollecitare il “timpano” del vedere, altre volte sono i libri, come quelli scritti da Deleuze o da Dorfles, o magari da Leopardi o da Beckett. Puoi citare un evento clou o un testo che ti ha affinato la vista?
Una sola mostra e un solo libro? Troppo difficile. Il rischio è di dire oggi una cosa e domani pentirsene. Senza stare a scomodare i classici, Stazione Utopia di Nesbit, Obrist e Tiravanija alla Biennale di Venezia del 2003, con il suo modello cooperativo, ma in generale tutta la Biennale di Bonami, così articolata, hanno mosso qualcosa. Tra i libri, in questo momento non posso non citare Verso un’ecologia della mente di Gregory Bateson, il cui pensiero è alla base di diversi miei progetti. Ma Bateson è già un classico!

Parliamo di EX3. Il nome è l’abbreviazione dall’anglosassone exhibition e del Quartiere 3 dove siete “nati”. Ora, MOS3 suonava troppo italiano-italiano, o semplicemente non ci avete pensato?
Non so dirti. Il nome non l’ho scelto io. Mos3 avrebbe forse fatto un po’ ridere. Ma anche MAMbo all’inizio pareva buffo…

Suspense. Sculture sospese veduta della sala centrale con opere di SaracenoBircken Trevisani 2011 Lorenzo Giusti a tu per tu

Suspense - veduta della mostra presso l'Ex3, Firenze 2011

Ammesso che lo spirito del tempo telematico abbia reso più che fluidi i confini, non pensi che talvolta le gallerie italiane soffrano un po’ di esterofilia (leggi provincialismo), oppure è giusto parlare la stessa lingua dei codici internazionali per essere engagé e farsi accettare?
Non ha molto senso, a mio avviso, fare un discorso generale. A me pare che sia sempre il valore degli artisti coinvolti a costruire il profilo di una galleria, di qualunque nazionalità essi siano. A volte può succedere il contrario, che un artista “esista” in ragione della fama della galleria che lo rappresenta, ma il gioco di solito non dura a lungo. E comunque, anche in questo caso, non importa che questo sia italiano o di un’altra nazionalità. Oggi tutti gli artisti sono “internazionali”.

EX3 è un’esperienza già molto apprezzata nel suo primo anno e mezzo di vita. Qual è la formula vincente?
La passione prima di tutto. Senza una passione vera non saremmo riusciti a coinvolgere tutte le persone, del pubblico e del privato, artisti e collaboratori, che sino a oggi hanno contribuito fattivamente al buon esito del progetto. Dal punto di vista organizzativo, stiamo sperimentando una forma di cogestione che porta a una condivisione delle scelte e degli impegni a vario livello, ferma restando la responsabilità generale del progetto affidata a Sergio Tossi.

Avete collaborato con istituzioni estere: Kunstmuseum di Bonn, Frac Le Plateu di Parigi, Kunstverein di Hannover, Frame di Helsinki. Com’è l’approccio straniero nei confronti dell’Italia? diffidenza o affiatamento?
In relazione ai progetti che abbiamo condiviso, le cose sono andate bene. Ma se la tua domanda si riferisce all’Italia come Paese, è evidente che uno Stato che investe nella cultura lo 0,2% del proprio PIL e nella ricerca scientifica poco più dell’1% non possa godere di grande credibilità. La nostra fortuna è di restare l’Italia “nonostante tutto”. Ma quanti “nonostante” dobbiamo sopportare!

Julian Rosefeldt 2009 American Night foto dell’installazione Lorenzo Giusti a tu per tu

Julian Rosefeldt - American Night - 2009

Cosa conservi della tua esperienza di dottorato accademico, oltre alla consapevolezza che prima dei 50 anni non avresti avuto un contratto nel tuo dipartimento?
Hai individuato forse il primo dei “nonostante” italiani: l’Università. Il suo problema è strutturale. Puoi anche trovare dei bravi insegnanti, studiosi aggiornati, come è capitato a me, ma la sensazione di isolamento persiste. Mi viene in mente il testo della canzone di Caparezza, quando dice “da qua se ne vanno tutti… chi ti ha ridotto in questo stato?”, perché non solo mancano le risorse interne, ma anche, troppo spesso, le strutture di connessione con il mondo esterno. Detto questo, credo che l’esperienza della ricerca sia importante, non solo per approfondire alcuni temi, ma anche per circoscrivere un proprio metodo di lavoro. Ma non è certamente l’unico percorso possibile. Alla curatela si può arrivare attraverso strade diverse.

Una volta mi riportasti una frase che ti aveva colpito: un artista ti disse che oggi si fa un gran parlare del sistema dell’arte, di aste, fiere, eventi, festival, ma che tutto quel contorno non è l’arte. Di cosa ritieni abbia più bisogno l’arte/l’artista contemporaneo? Di tornare alla purezza originale, di più soldi, di silenzio, o di rimpossessarsi del territorio delle idee, rubate da designer e finanza creativa?
Pur essendo consapevole dell’importanza del contesto – non parlerei di contorno – nella creazione di significati e valori (un approccio sistemico non fa fatica a intuire questo) la sensazione, in effetti, è che troppo spesso si evada l’analisi dei processi interni all’opera per concentrarsi sui soli processi esterni. Questo sia nella fase creativa che in quella ricettiva. In generale, credo che potrebbe essere utile tornare a confrontarsi sul concetto di opera.

Beatrice Benedetti

www.ex3.it

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Beatrice Benedetti

Beatrice Benedetti

Laureata in Lettere moderne, Beatrice Benedetti si è specializzata in storia dell'arte a Bologna con Renato Barilli. È giornalista pubblicista e ha collaborato, dalle redazioni di Milano e Verona, con riviste e quotidiani nazionali. Tra le pubblicazioni recenti, ha curato…

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